Volete sapere cosa odio di più al mondo? Le banalità. Detesto leggere banalità e tutti scrivono banalità, anzi, tutti scriviamo banalità, perché non ho certo la presunzione di sostenere la mia personale infallibilità a riguardo. Quando muore un personaggio famoso, di banalità se ne leggono tante ed in genere la piattaforma preferita per scriverle è Facebook. Qualche giorno fa ci ha lasciato Avicii e la mia bacheca, più che di tributi, era invasa di personaggi che facevano a gara a dare la notizia per primi, come se fosse un vanto. Ho sempre pensato che per le notizie ci fossero testate giornalistiche molto più sul pezzo rispetto a Faccialibro. Ma quel che è peggio non è tanto questa gara di velocità comunicativa, quanto piuttosto il bisogno di commentare saltando subito a conclusioni affrettate. Ho letto qualunque cosa su Avicii, da “era un drogato” fino a “se l’è cercata” passando per “l’alcol fa questi effetti”. Potrebbero anche essere tutti commenti pertinenti, ma ad oggi, mentre scrivo, ancora non sono chiare le cause della morte.
Qualche giorno fa, prima della scomparsa del dj svedese, ho avuto modo di vedere il documentario Avicii: True Stories, e l’ho trovato estremamente affascinante, perché racconta la vita di un’artista mettendo l’accento, non tanto sul successo, quanto sui suoi demoni. Dal documentario si intuisce che Tim Bergling avesse delle serie difficoltà a gestire l’ansia e forse i vizi, ciononostante, dopo aver visto il documentario, non posso dire di conoscere meglio Avicii, anzi non lo conosco affatto. E se la sua storia fosse stata montata ed edulcorata come in qualunque film? Chi lo sa. Per questo non ne parlo e non lo giudico, è una persona che non conosco.
C’è qualcosa però che ho visto, che conosco molto bene, di cui posso e voglio parlare. É l’effetto di Avicii sulle persone.
Sabato scorso, in un locale, non importa quale (saranno stati migliaia in tutto il mondo a vivere lo stesso momento), il dj ha deciso di aprire la serata con una sigla dedicata ad Avicii. L’intro con gli archi ed il piano che suonavano uno dei suoi più grandi successi, Wake Me Up, era da pelle d’oca. Le parole del vocalist, poche ed essenziali, senza indugiare troppo sulla malinconia del tributo, hanno fatto da acceleratore naturale di emozioni e poi il resto l’hanno fatto invece le persone al tempo di musica. Tutte le mani, per una volta non chiamate dal microfono, erano alzate verso il cielo e decine di persone di tutte le età sorridevano, saltavano, ballavano. Io so osservare bene, lo faccio da sempre, e riesco ad essere attento anche quando tutto intorno c’è il delirio. Ho visto un signore che ballava divertito, ho visto un ragazzo di 17 anni chiedere altre canzoni di Avicii, ho visto il dj con una lacrima timida e commossa. Mi sono emozionato. Io non so chi sia Avicii, ma conosco l’effetto che fa. Grazie.