Parlo spesso della professione del dj, di quanto sia ambita negli ultimi anni, di quanto sia difficile affermarsi e di quanto sia oggettivamente fico fare il dj.
Mi piace però altrettanto spesso parlare del lato più oscuro della medaglia, cioè di quanto sia un mondo in cui regnano i rosiconi – mi riferisco al nostro Paese – in cui lamentarsi è sempre meglio che darsi da fare, in cui c’è quasi la totale assenza di meritocrazia ed il più bravo dei dj non potrà mai nulla contro quello più scaltro.
E a dire il vero non c’è da stupirsi che il modus operandi di furbetti e raccomandati vada di moda anche in questo ambiente. È un modello culturale ormai troppo radicato dentro l’italiano medio.
C’è però una categoria di dj che proprio non riesco a sopportare: i markettari degli scambi.
Avete presente quelli che ‘se mi fai fare una serata, ti faccio lavorare anche io nel mio locale’.
Credo che loro rappresentino una delle ragioni principali per cui i locali italiani navighino in un mare di merda. Problemi ce ne sono tanti, così come le cause che li scatenano, ma in tempi non sospetti avevamo parlato di quanto in un momento di crisi fosse importante ripartire dalle basi, dall’ABC, dalla musica: dal dj.
Il dj per un locale è troppo importante, forse la figura più importante, ma al markettaro dello scambio non frega una ceppa. A lui interessa solo allargare la sua rete di contatti, portandolo a chiedere anche al disc jockey più scarso del mondo, magari un poveretto che lavora nel discoristopub, di fare uno scambio. Così il povero ed inesperto dj del ristomistocistowow, con gli occhi lucidi dalla gioia, si ritrova a gestire una console più grossa di lui, mentre il markettaro ha messo un piedino dentro un nuovo locale.
Dopotutto a lui interessano 2 cose:
1. far vedere che ‘gira’ (ottimo a livello di immagine)
2. appropriarsi di una nuova situazione in cui potenzialmente può fare i suoi porci comodi, come inserire a lavorare amici dj, vocalist, ballerini, lavapiatti ecc ecc...
Ora, chi vi scrive questo mondo lo conosce da un po’. Credo che ci voglia coraggio e molta faccia da culo per convincere il proprietario di un locale che un dj svuotapista sia invece un fenomeno. Ma quello che mi chiedo è con che coraggio il gestore di una discoteca, invece di affidarsi ad una direzione artistica seria, si lasci abbindolare da uno che venderebbe sua madre a suon di ‘bomber’, ‘roccia’, ‘pettine’ e ‘ci penso io’.
Il pesce puzza sempre dalla testa, quindi se questi personaggi esistono, è perché chi paga lì lascia fare. Evidentemente chi lo assume non si rende conto dei pessimi risultati o del malcontento del cliente, e poi chiude, o si rivolge disperato ai soliti 5 o 6 guest che ‘anche basta’.
Ne conosco tanti, e sarebbe così bello fare i nomi. Ma non è difficile riconoscerli. In genere sono quelli che, anche se ti conoscono a malapena, ti rompono le palle per farli lavorare da qualche parte, ma si dimenticano che non hanno mai nemmeno fatto il gesto di proporti qualcosa. Ben venga il do ut des, ma sarebbe tanto bello se fosse un tacito accordo di rispetto e riconoscimento delle capacità artistiche – laddove ci fossero reali capacità ovviamente. Invece sono solo markette.
Forse in fin dei conti ha ragione il makettaro degli scambi, perché così facendo lavora e gli altri no. L’immagine è tutto ormai, però ci vuole pelo sullo stomaco a proporre uno che nella migliore delle ipotesi ti farà fare una figura di merda.
Vi prego, spendete i soldi per un direttore artistico, li trovate risparmiando dall’ospitata del tronista.