Si é conclusa a Milano MIA Photo Fair, la fiera dedicata alla fotografia. Siamo andati a fare un giro al The Mall e non é che ci abbiamo capito molto.
Da grandi appassionati di fotografia quali siamo, non solo noi, parliamo al plurale permettendoci di parlare per l’umanità visto il successo di Instagram. Altrimenti, a parte il sacrosanto desiderio di farsi i cazzi degli altri, non ci sarebbe spiegazione. Tutti abbiamo più o meno l’occhio per capire la fotografia, o meglio, per decretare se qualcosa possa essere di nostro gusto o meno. Con l’arte, convenzionalmente, é più difficile perché subentrano tante variabili che girano attorno all’opera d’arte finale. L’arte ha un raggio d’azione più ampio, spesso é intrisa di significato ed é anche possibile che non riusciamo a capire qualcosa che alla prima occhiata ci fa cagare, ma anche alla seconda e alla terza. La fotografia é protagonista di un processo simile, ma talvolta meno elaborato: agli occhi di un comune cristiano si riduce ad un attimo che viene impresso su carta stampata. Il lavoro viene fatto tutto dall’occhio del fotografo, capace di cogliere un certo attimo, oppure da un lavoro pregresso ricreare una particolare situazione.
Lo sappiamo, vi sta venendo il mal di testa. Con questo sproloquio non vogliamo dire che la fotografia sia meno nobile dell’arte, anzi. É solo che da una fiera di fotografia ormai ci si aspetta qualcosa di più che qualche foto di nudo artistico, centinaia di foto in bianco e nero di soggetti ad cazzum ed immagini che sembrano fatte apposta per incontrare un pubblico d’essai con la puzza sotto il naso, lo stesso che aberra il fatto che ormai, con l’avvento dei telefoni, la fotografia sia ormai materia di chiunque.
Il tema di quest’anno era il rapporto tra uomo e natura, e come rappresentate di questa unione é stato chiamato il fotografo Guneriussen che crea istallazioni in mezzo alla natura e le fotografa. Figo. Forse quello più interessante e comprensibile per un pubblico che mangia pane ed influencer tutto il giorno.
Mentre camminavamo per la fiera, ci guardavamo intorno, e notavamo che i soggetti che più attiravano le persone erano vecchie foto di star di Hollywood, paesaggi e natura, le fotografie da reportage (erano poche), oppure rimaneggiamenti di fotoritocco che hanno più a che fare con l’arte piuttosto che con la fotografia.
E allora mi chiedo, perché non lavorare per dare spazio in queste fiere a tutta una nuova sezione di fotografi “fai da te” che arrivano dall’amatoriale o dai social, capaci di interpretare il tema della mostra anche cento volte meglio rispetto alle quattro foto messe li per essere vendute a qualche collezionista di vecchi cimeli.
In altre parole, é una fiera di fotografia che non tiene conto del livello di fotogenia delle opere, un vero controsenso. E questo non attirerà mai il nuovo pubblico.
L’unico che forse ha capito come va veramente il mercato é Settimio Benedusi, grande fotografo che con un nuovo progetto si offre di scattare un ritratto d’autore a chi lo vuole e soprattutto a chi lo paga: 250 euro a foto (chiamalo scemo).